martedì 13 gennaio 2015

FIGLIO DI DUE MAMME CHE PER L'ITALIA NON SARANNO MAI UNA FAMIGLIA

Torino e le due mamme (su QCode Magazine, 13 gennaio 2015).


Ieri la Corte costituzionale chiudeva le porte ai matrimoni omosessuali in Italia. Oggi la sentenza della Corte d’Appello di Torino ordina la trascrizione in Italia dell’atto di nascita del figlio nato in Spagna da due donne (Corte App. Torino, sez. fam., decreto 29 ottobre 2014). Domani chissà. Dopotutto, domani è un altro giorno.
Su questi due fatti di cronaca e attualità giuridico-politica, simili per tanti aspetti, risolti in modi completamente diversi, conviene soffermarsi per ragionare sull’opportunità che le innovazioni giuridiche passino attraverso le aule del Parlamento piuttosto che attraverso quelle dei Tribunali.

Parlamentari? Non pervenuti
Nei recenti casi sul riconoscimento in Italia dei matrimoni tra persone dello stesso sesso contratti all’estero i giudici non sono stati “accondiscendenti” e, ancorandosi ai concetti tradizionali e legislativi di famiglia, hanno negato la trascrizione di questi atti stranieri per inesistenza del corrispettivo giuridico nel nostro ordinamento. In sostanza, i giudici (e tra questi, in primis, la Corte costituzionale) hanno affermato che – stante l’inesistenza nel nostro ordinamento del matrimonio tra persone dello stesso sesso e, anzi, la precisa affermazione legislativa che i coniugi sono una marito uomo e una moglie donna – i matrimoni omosessuali contratti all’estero non possono essere trascritti ed avere riconoscimento giuridico in Italia.
Nel caso, che in questi giorni occupa le pagine della stampa, della sentenza della Corte d’Appello di Torino, invece, i giudici (sempre loro, perché i Parlamentari su questi temi sono “n.p. – non pervenuti”) affermano che il concetto di ordine pubblico e di interesse del minore permette di riconoscere giuridicamente che il bambino in questione ha due mamme e nessun papà.
Quello su cui credo sia necessario riflettere è la discrezionalità di queste decisioni.
Comincio da un approccio personale, tentando di tenere distinto ciò che invece direbbe un “giurista”. Chi ritiene (come la sottoscritta) che l’Italia non perderebbe nulla se diventasse un Paese in cui a contraddistinguere il concetto di famiglia sono solamente i sentimenti che legano le persone, potrebbe sentirsi felice della sentenza di Torino.
D’altro canto, però (sempre come persona e non come giurista) le decisioni dei giudici sul matrimonio omosessuale potrebbero lasciare l’amaro in bocca proprio se si è convinti che la famiglia non debba essere né legittima né illegittima, né di fatto né di diritto, ma solamente un qualsiasi insieme di persone che si vogliono bene.

E la prossima volta?
L’arbitrarietà di queste decisioni sta nel fatto che nessuno è in grado di dirci cosa succederà la prossima volta in cui i giudici avranno a che fare con un caso che aleggia in un vuoto legislativo: ci piacerà o no la loro decisione? Senza annoiare nessuno con tecnicismi, è comunque necessario ricordare che, in Italia, la Costituzione dice che «I giudici sono soggetti soltanto alla legge» (art.101) e perciò non sono obbligati a rispettare e a conformarsi a nessuna opinione che non sia quella del Legislatore o della Corte costituzionale. Ma se la legge non c’è?
Questa preoccupazione vale per moltissimi temi, altrettanto importanti e delicati per la vita delle persone, sui quali il Parlamento e la politica non sono ancora riusciti a dare risposte concrete, anche se la realtà sociale contemporanea le chiede da tempo (si pensi solo alle questioni inerenti il fine vita, tanto discusse e poi abbandonate, come se il problema non esistesse più).
Se è vero che, come tuonano le scritte delle aule dei tribunali italiani, “La legge è uguale per tutti”, perché Luca e Carlo non possono essere considerati marito e marito, mentre Anna e Laura sono legalmente le due mamme del figlio che è nato dal loro amore?
Incertezza non è giustizia

Insomma, parlando come giurista, l’incertezza data dall’arbitrarietà di giudici che si muovono senza appigli legislativi non può essere soddisfacente. E non dovrebbe soddisfare nessuno, nemmeno le due mamme che hanno ottenuto che il loro figlio, nato con la fecondazione eterologa (altro terreno battuto più dai giudici che dal legislatore), sia riconosciuto in Italia come figlio di entrambe, perché questa pronuncia non dà a loro e a nessuno di noi alcuna garanzia.
Non c’è uguaglianza di nessun genere in una decisione che non è ancorata a nulla se non al buon senso del giudice.
È il diritto, quello scritto, quello certo, ma non per questo immutabile, che deve rispondere alle esigenze della società e di coloro che la compongono, sulla base di quei principi giuridici (e non dei valori ideologici) che le Costituzioni e le Carte internazionali dei diritti riconoscono.

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